Youtube ha appena compiuto dieci anni: il 14 febbraio 2005 venivano registrati marchio, logo e dominio del portale di condivisione video più popolare del pianeta. L’idea, narrano le cronache, nasce durante una festa del gennaio di quell’anno, o meglio subito dopo: 3 amici vogliono condividere su Internet foto e video del party. No problem per le immagini; niente da fare per i video. Uno dei siti più popolari del mondo avrebbe dunque origine da questa frustrazione.
Youtube, insieme alla pletora di social network nati negli stessi anni come Facebook, Twitter, Linkedin, Instagram (per citare solo i più conosciuti) e a nonna email, concepita già nel 1971, ha rappresentato una vera rivoluzione nelle modalità comunicative umane. Significativa la copertina del numero speciale di Time per l’anno 2006: la persona dell’anno era “You” – tu, voi. Noi.
Noi che da quel momento potevamo avere il controllo dell’informazioni in entrata e in uscita con un semplice click, rendendo incredibilmente più efficace e veloce un’attività – la condivisione di notizie ed emozioni ai membri del proprio gruppo – che pratichiamo fin dai tempi delle caverne. Quanto questo controllo sia reale e quanto il processo sia benigno è tutto da verificare: nuovi rischi ci si parano, da un controllo orwelliano del nostro flusso comunicativo a scopi commerciali (uno scenario tutt’altro che fantascientifico è quello delle pubblicità ad personam non solo sul web ma anche per strada, attivate dai nostri smartphone) all’eccessiva quantità di informazione disponibile, che dobbiamo imparare a selezionare criticamente.
Ma non è questo di cui si vuole parlare. Prendendo spunto da una ricerca pubblicata dal New York Times, unica nel suo genere, le domande che qui ci poniamo sono due:
- Quali sono le motivazioni alla condivisione di contenuti online, a volte così potente da configurarsi come dipendenza?
- Quante tipologie di social sharer esistono?
Rispetto al primo punto possiamo ancora una volta affermare che la condivisione non è affatto nuova: fa parte della natura umana. Maslow creò nel 1954 la piramide dei bisogni, suddivisa in cinque differenti livelli: dai più elementari (necessari alla sopravvivenza dell’individuo) ai più complessi (di carattere sociale). L’individuo si realizza passando per i vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo. Al livello più alto troviamo i bisogni di realizzazione di sé (realizzando la propria identità e le proprie aspettative e occupando una posizione soddisfacente nel gruppo sociale): vediamo ora come vengono soddisfatti attraverso le attività sociali online. Cos’è cambiato quindi nell’era della condivisione? Semplicemente condividiamo più contenuti, con più persone, utilizzando più fonti, più spesso e più velocemente. È interessante come il 73% degli intervistati ritiene che i contenuti condivisi attraverso i social siano da loro analizzati molto più in profondità, e l’85% sottolinea che i commenti ai contenuti postati favoriscono una loro migliore comprensione dell’argomento trattato. E qui entriamo nell’alveo delle motivazioni alla condivisione: ne possiamo riconoscere almeno cinque.
1 – Per offrire contenuti preziosi e divertenti per gli altri
Il 49% degli intervistati afferma che la condivisione può favorire un cambiamento delle opinioni o un passaggio all’azione, mentre la quasi totalità (94%) ritiene che l’informazione postata sarà interessante per i propri contatti
2 – Per definire la nostra identità rispetto agli altri
Il 68% degli intervistati afferma di condividere per offrire agli altri una migliore comprensione di chi sono e di cosa si preoccupano
3 – Per nutrire le nostre relazioni
Il 78% degli intervistati afferma di condividere online per rimanere in contatto con persone con le quali si perderebbero i rapporti, mentre il 73% lo fa per rinforzare i legamin con chi condivide le proprie scelte e opinioni.
4 – Per autorealizzarsi
Il 69% si sente maggiormente coinvolto nel mondo postando contenuti
5 – Per dare la propria opinione rispetto a cause o controversie
Lo afferma l’84% degli intervistati.
Il New York Times individua poi sei categorie di social sharers, sulla base delle diverse motivazioni per la condivisione, della presentazione di sé che si desidera offrire, del peso che ha la condivisione nella vita reale e del valore dato ad essere il primo a postare una informazione.
1 – L’altruista
Chi ad esempio invia un’email con un articolo su una patologia ad un amico che ne è affetto. Gli altruisti si possono descrivere come collaborativi, affidabili, premurosi; tendono a utilizzare molto l’email.
2 – L’arrivista
Chi condivide prettamente contenuti collegati al proprio business, che in qualche modo possano favorirlo. Gli arrivisti sono perspicaci e privilegiano il lavoro di rete; utilizzano molto Linkedin.
3 – L’hipster
Chi ritiene che condividere faccia parte della propria identità. Gli hipster sono taglianti, creativi, giovani e popolari; utilizzano moltissimo tutti i social network tranne l’email, sfruttata molto meno della media
4 – Il provocatore
Chi vuole essere controverso e provocativo, ritenendo di aver sbagliato qualcosa solo quando non c’è nessuno che si lamenti. I provocatori sono esplosivi e si ritengono investititi di potere; tendono a utilizzare Twitter e Facebook
5 – Il connettore
Chi ad esempio scova un’offerta in rete e ne approfitta per girarla agli amici perché possano goderne tutti insieme. I connector sono creativi, rilassati, abili pianificatori; tendono a utilizzare Facebook e l’email.
6 – Il selettivo
Chi decide di condividere qualcosa solamente con chi può essere interessato, per non importunare gli altri. I selettivi sono pieni di risorse, attenti, profondi e informati; tendono a utilizzare l’email.
E tu, a quale categoria appartieni?Nicola Boccola – 25 marzo 2015
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