I colleghi che bazzicano i social network l’avranno senz’altro incrociato: uno status Facebook divenuto virale in cui una donna, Chiara Mentefalsa, sproloquia sulla professione psicologica. Dichiara di essere “come una psicologa ma non ho fatto l’università”; dice di “capire le persone con un solo sguardo” e saper fare “l’interpretazione dei sogni cercando qualcosa su internet ma nemmeno troppo”. Ha il rammarico di non poter “prescrivere i farmaci perché di quello me ne intendo ancora poco” e chiede come poter ottenere la laurea senza la seccatura degli esami.
Il profilo personale dell’autrice indica chiaramente che si tratta di una presa in giro, o una provocazione: Chiara in altri momenti chiede come diventare veterinaria senza laurea, crede che Twitter sia rotto perché non riesce a scrivere lunghi messaggi e così via. C’è invece chi ha rilanciato la nota decontestualizzandola dal setting originario e provocando un’ondata di indignazione: c’è chi suggerisce che l’autrice sia “possibile di denuncia”, chi propone il rogo, chi ne stigmatizza l’ignoranza. Chi, subodorando la burla, paternalisticamente la taccia di essere portatrice di disturbi mentali.
L’episodio mi ha turbato. Davvero gli psicologi hanno un tale deficit di senso critico, esame di realtà, humour da indignarsi per uno scherzo neanche particolarmente brillante? Com’è potuta scadere una categoria che si è sempre distinta per tolleranza, preveggenza, intelligenza sociale?
Forse per l’incazzatura. Chi ha avviato un iter decennale di studio motivato dalla passione si è ritrovato con chi questo entusiasmo l’ha monetizzato: scuole di specializzazione che costano quanto mutui, anni di volontariato e preziosi interventi professionali sottopagati, una generalizzata ignoranza sulla nostra professione che spiana la strada a competitor – counsellor, coach, astrologi e cartomanti – forse meno preparati ma talvolta più efficaci, non avendo alle spalle anni di università che talvolta più che formare riescono a confondere. Sarebbe tempo di una profonda ristrutturazione della nostra professione, tempo di aprire nuovi varchi e proporre soluzioni alla società reale. Noi ci proviamo con la mediazione familiare, una disciplina capace di far risparmiare tempo, denaro e soprattutto sofferenze ai coniugi in separazione, ai loro figli e ai congestionatissimi tribunali.
Proviamoci tutti. La distruzione di un nemico immaginario non era il motivo per cui abbiamo intrapreso questa malgrado tutto splendida professione.
Nicola Boccola – 4 giugno 2014
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