Per l’anniversario della nascita di Hermann Rorschach Google gli dedica un doodle graficamente impeccabile in black and white: un esaminatore a gambe accavallate, una stanza sulle cui pareti si stagliano le sacre lettere del motore di ricerca più potente, tra due mani in inquadratura soggettiva una tavola con delle macchie e bottoni di condivisione sui social network di ciò che si vede nella piccola tavola. L’occasione è giusta per rilanciare la popolarità di un test che se usato correttamente è più efficace di una sfera di cristallo: il profilo che se ne trae riguarda la personalità globale e l’interazione delle sfere cognitive, affettive e relazionali dell’individuo, con la possibilità di tracciare una storia psicodinamica ed evidenziare eventuali cambiamenti di direzione esistenziali. Tutto dalle risposte in dieci tavole in parte simili a quelle create da Google. Sì, perché a differenza di quanto il profano è portato a credere, non è il contenuto della risposta a essere decisivo nell’interpretazione del test ma altri fattori: localizzazioni, determinanti, frequenza statistiche delle risposte, manifestazioni particolari. La lettura spicciola che se ne sta dando su giornali e blog poco riflette questa complessità (addirittura Repubblica parla di doodle “psicanalista”, rivelando il mancato uso persino di Wikipedia come fonte), ma in questo è aiutata dalle caratteristiche del doodle. Le tavole originali sono per metà in bianco e nero e per metà colorate, con una sequenza che permette di esaminare un aspetto decisivo, l’azione perturbante del colore sull’emotività, da cui risultano cambiamenti nella qualità e nella quantità delle risposte, o nei tempi di latenza. Inoltre per loro struttura sono in grado di suscitare risposte globali – nell’intera macchia – o localizzate in un dettaglio nella macchia, o addirittura nel bianco all’interno; questo è reso possibile dalla regola per cui la tavola non può essere osservata oltre l’ampiezza del proprio braccio. Tutto questo è assente nelle macchie ricreate per l’occasione, che oltre ad essere molto piccole rispetto alle originali (che misurano circa 23×15 cm) hanno aspetto massivo o molto dettagliato e si prestano a essere univocamente interpretate almeno per quanto riguarda i parametri principali. Senza contare che la possibilità di condividere le risposte pone l’accento su un dettaglio che fa assomigliare la faccenda a un giochino di società in cui “questo vuol dire questo”, che è appunto la psicologia da bar, la psicologia della cultura media, la psicologia degli esperti televisivi, la psicologia dei test sui settimanali da parrucchiere. Al di là degli aspetti deteriori è apprezzabile che venga suscitata curiosità anche per gli aspetti psicodiagnostici più complessi, quelli in grado di portare benefici nella clinica o nelle aule di tribunale; l’auspicio ancora una volta è l’affermazione di una cultura delle macchie, come sostenuto in questo post, e la non divulgazione delle tavole originali (come fa persino qualche scuola per promuovere corsi di formazione) che renderebbe inevitabile il declino del test.
Nicola Boccola – 8 novembre 2013
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