Le 5 attitudini del paziente di fronte alla psicoterapia

Gli psicologi in Italia sono 70 mila, un terzo del totale europeo. Parliamo dei professionisti iscritti all’Ordine, tralasciando counsellor, santoni e usurpatori di altra natura.

Riproduzione vietata (Ritratto di Edward James) – Magritte, 1937

È quindi raro che una persona non ne annoveri uno tra amici e parenti, pronto a offrire il consiglio giusto nel momento in cui ci fosse il bisogno di avviare un percorso di crescita o guarigione psicologica. Sì, perché la maggior parte dei pazienti trova lo psicologo attraverso il passaparola – metodo efficace ma rischioso.

In questo modo gli psicologi spesso non prendono in considerazione motivazioni e livello di consapevolezza dei pazienti, se non nelle prime sedute, al momento dell’analisi della domanda; a mio avviso però dovrebbero porsi il problema a priori, per presentarsi professionalmente nel giusto modo rispetto alle diverse categorie di pazienti. Ma quali sono questa categorie? Personalmente, riadattando il lavoro di Eugene Schwartz, ne utilizzo cinque:

  1. Il paziente consapevole. Sa quel che vuole, e conosce la vostra offerta professionale. Si tratta di solito di pazienti con esperienze di terapia o del settore; spesso le persone con cui è più facile lavorare, anche se esigenti e potenzialmente a rischio di hybris simmetrica – lotta inconsapevole per la presa del potere nella relazione.
  2. Il paziente consapevole del servizio. Il paziente conosce l’offerta dello psicologo ma non sa se è quella giusta per lui. Potrebbe rivolgersi a un altro psicologo. Sappiamo che specifiche tecniche psicoterapeutiche sono efficaci con certi disturbi: non si possono curare gli attacchi di panico con una psicoanalisi freudiana, ad esempio. Spesso gli psicologi raccolgono tutti i pazienti che possono, anche se non sono in possesso degli strumenti giusti per curarli. Questo non è corretto: fermo restando che lo stile personale dello psicologo e il rapport che crea con il paziente sono i fattori terapeutici più importanti, bisogna anche saper inviare un paziente da un collega meglio specializzato.
  3. Il paziente consapevole della soluzione. Il paziente riconosce di avere un bisogno di cambiamento, ma non sa che proprio la psicoterapia può soddisfare il suo bisogno. In effetti gli psicologi hanno molti competitor: figure professionali limitrofe (dietista, medico di base, ecc), una vacanza in barca, droga o psicofarmaci, un libro su come guarire. Soluzioni anche efficaci a breve termine, che però non risolvono il problema.
  4. Il paziente consapevole del problema. Il paziente riconosce di avere un problema irrisolto, ma non crede che esista una soluzione. Questo è proprio il mestiere dello psicologo, che deve essere bravo a divulgare gli effetti della propria attività, una di quelle per cui facilmente si dice:”se avessi saputo che era così l’avrei fatto molto prima!”
  5. Il paziente inconsapevole. Il paziente, che in effetti non lo è e probabilmente non lo sarà mai, non sa di avere un problema e a maggior ragione non sa che ci sarebbe una soluzione. Lo psicologo è “per i pazzi”, per gli altri. Non pensando che, a volte, “gli altri siamo noi” (mi si perdoni la citazione tozziana).

Nicola Boccola – Blog Xaver – 4 novembre 2011

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